Domenica 25 Gennaio 2009, al
termine della Messa nella festa della Conversione di San Paolo,
presieduta dal vescovo Giuseppe Zenti, presso la Cattedrale di
Verona, si è svolta la prima sessione dell'inchiesta diocesana del
processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio mons.
Luigi Bosio.
Hanno prestato giuramento il
vescovo Giuseppe Zenti, il delegato episcopale mons. Tiziano
Bonomi, il promotore di giustizia mons. Luciano De Agostini, il
notaio Elisabetta Bonato ed il postulatore della causa padre
Vittorio Bellè, dell'Ordine dei Frati Minori. Padre Bellè ha
presentato l'elenco dei testimoni, riservandosi la facoltà di
produrne altri. All'inchiesta diocesana lavoreranno, oltre ai due
Censori teologi, la Commissione storica composta da mons. Callisto
Barbolan, don Andrea Trevisan, Maria Palma Pelloso, Ilia Bonomini e
Ugo Bianchi.
OMELIA
del vescovo Giuseppe Zenti
Cattedrale di Verona, 25 Gennaio
2009
La liturgia della Chiesa ci fa oggi
partecipare al banchetto della festa di Dio per la conversione di
Paolo. La conversione di Saulo è un capolavoro della grazia di Dio
per il bene dell'umanità. Di fatto segna una svolta del percorso
della Chiesa fin dai primordi: si rivolge al mondo intero, il mondo
pagano peccatore, dimostrandosi in concreto universale, cioè
cattolica.
È Paolo stesso che narra l'evento della sua
conversione. E lo narra come un cadere a terra, come un morire al
vecchio uomo e un alzarsi, un risorgere a uomo nuovo (per due volte
viene usato il verbo anastàs nella forma del participio; si tratta
del verbo specifico della risurrezione, che in greco si denomina
Anastasis). Risorto a vita nuova grazie al Battesimo, Paolo
percepiva la sua vita come un vivere Cristo, immesso nel suo Corpo
ecclesiale, che diventa sempre più il suo assillo e la sua
passione.
Nel contempo, nell'atto della conversione
sente imperioso in sé il comando di Gesù: andate in tutto il mondo!
Il Vangelo è un patrimonio non riservato a pochi eletti o
esclusivamente ad un popolo di elezione, bensì destinato
all'umanità intera di tutti i tempi. E Paolo lo annuncerà e lo
testimonierà a tutti: «per me è un bisogno vitale, guai a me se non
evangelizzo… mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare a Cristo il
maggior numero possibile» (1 Cor 9). Paolo ha improntato l'intera
sua esistenza di apostolo perché Gesù Cristo fosse riconosciuto e
accolto come l'unico Kyrios!
Carissimi concelebranti e fedeli, oggi, a
quindici anni esatti dal suo pio transito da questo mondo al Padre,
avviamo la fase diocesana del processo di canonizzazione di mons.
Luigi Bosio, mentre l'11 di febbraio quella di mons. Bernardo
Antonimi, che in mons. Bosio ha avuto un riferimento significativo
e costante come a sua volta Bosio lo ebbe in S. Giovanni
Calabria.
Spendiamo opportunamente una parola per
introdurci nel mistero della sua persona, conquistata da Cristo,
sul modello di Paolo. Di Paolo mons. Bosio aveva l'animo. Aveva
coscienza di essere abitato da Cristo: «per me il vivere è Cristo».
Fino al punto che come presbitero percepiva in sé la presenza
sacramentale di Cristo: «ipse Christus!» Così si definiva e non
semplicemente «alter Christus». Si percepiva sacramentalmente
Cristo in persona sia all'altare: «Questo è il mio corpo!», sia in
confessionale: «Io ti assolvo». Se di Paolo riproduceva l'animo
innamorato per Cristo e l'ardore nel farlo conoscere e amare, non
si può dire che ne avesse invece il dinamismo esuberante che lo ha
fatto un itinerante per Cristo: dall'Asia Minore alla Macedonia,
alla Grecia, a Roma. Mons. Bosio preferiva la residenzialità e il
ritiro nella cella del suo cuore, a modo di benedettino: dalla
parrocchia di Legnago come curato per quattro anni, alla piccola
parrocchia di Presina come parroco per altri quattro anni, a
Belfiore dove rivelò sempre più le sue doti eccezionali di uomo di
Dio per trent'anni, fino alla Cattedrale, per ben ventitrè anni
vissuti a servizio della gente, soprattutto come confessore.
Ne avviamo oggi la fase diocesana del
processo, che ha come attore la diocesi stessa, in seguito alla
diffusa fama di santità. Una fama che si trapunta di alcune
annotazioni e qualificazioni. Eccone alcune.
Chiunque l'ha conosciuto, bene, può
testimoniare che in lui c'era qualche cosa di sovrumano, di
soprannaturale. Era insomma un testimone del divino. Chi lo
accostava aveva la percezione di avvicinarsi ad un uomo abituato a
vivere nel Sancta Sanctorum! Cioè nel cuore del mistero dell'Amore
trinitario di Dio. Se ne poteva cogliere qualche tratto soprattutto
nella celebrazione della Messa, nella quale appariva talmente
immerso da essere assorto e come trasfigurato, in modo simile a
quanto accadeva per il Calabria; e nella celebrazione del
sacramento della Confessione, a cui accedevano in folla laici,
consacrati e presbiteri.
Schivo delle lodi, rifuggiva il fanatismo e
preferiva il nascondimento. Il silenzio! Aveva il culto del
silenzio. È noto il fatto che non ha scritto volumi e tomi. Ci ha
lasciato invece articoli sui bollettini parrocchiali, pensieri sui
santini o in «Medium Silentium» omelie (brevi e succose, come pane
fragrante) caratterizzati tutti da un inconfondibile stile
essenziale, conciso, sobrio. Gli bastava una parola! Ed era un
concentrato di sapienza divina, con una singolare acutezza di
intuizione, come potete constatare sulla pubblicazione che vi sarà
consegnata alla fine della Messa, come primo quaderno di
spiritualità. Ogni parola o espressione è un vero distillato di
sapienza divina. Mai infatti indulgeva alla verbosità. Come
precisava lui stesso, se un messaggio, un'idea, puoi esprimerla in
cento parole invece che in mille, usa cento parole; se con dieci
usane dieci; se con una usane una. Se lo puoi con il solo silenzio,
parla con il silenzio! Il Silenzio, il divino silenzio! Il Verbo
del silenzio, dove tutto è Parola di verità! Basta lo sguardo!
Ricordiamo tutti quello sguardo penetrante ma mai imbarazzante di
don Luigi: ti metteva a tuo agio, come fosse quello l'avvio di un
colloquio, fatto più di intuizioni che di parole. Lasciatemi nel
mio silenzio!
Uomo del silenzio, ma non triste e
immusonito. Sorridente e persino giulivo, nel giubilo del cuore.
Era come il suo sorriso al Gesù che custodiva in cuore, con il
quale era in abituale colloquio confidenziale. Per questo
trasmetteva il suo sorriso a chi lo avvicinava come fosse un
sorridere a Gesù stesso. Non a caso prediligeva il canto dal
sorriso giubilare come è il canto gregoriano!
Sorridente, dunque, e dolce. La sua dolcezza,
il tratto nobile del suo portamento. Un vero signore! Trasparenza
della presenza in Lui del Signore Gesù.
Educatore al senso del Mistero, della
Bellezza, della Liturgia. La divina Liturgia! Al riguardo, ha
anticipato parecchi contenuti del Concilio Vaticano II, educandovi
la comunità intera! Era educatore però in qualità di discepolo
dell'unico Maestro, tant'è che indirizzava sempre al Maestro.
Geloso della sua libertà, non imponeva nulla; semmai suggeriva,
indirizzava; al più esortava e ammoniva, ma non rimproverava
mai.
Non va dimenticato però che è passato anche
lui dal calvario: dal calvario dell'obbedienza fino all'olocausto
di sé e dei moti della sua volontà, e della lunga malattia vissuta
nel silenzio del suo calvario. Come la sua ultima Messa.
Infine, non ci sfugga: la sua devozione a
Maria! Un vero figlio. Devotissimo. Nella semplicità del suo
cuore.
La Chiesa ci dirà quanto è stata esemplare la
sua testimonianza di vita. Ne seguiremo con interesse e con tanta
preghiera l'intero itinerario, mentre assimileremo sempre di più il
patrimonio delle sue parole nate nel Silenzio del Verbo.