«Quelli che avevano mangiato si sentirono
sazi». Attingiamo queste bellissime parole, testimonianza di un
miracolo compiuto da Gesù per tutti coloro che, mangiando un pane
moltiplicato, ne mangiarono a sazietà. Certo, nel dono della fede e
nella pietà della Celebrazione Eucaristica, voi sentite che è molto
più grande il mistero che celebriamo, di fronte al miracolo della
moltiplicazione dei pani, che non era se non una preparazione a
questo mistero Eucaristico.
Qui, in tutta verità e al momento della
Comunione Eucaristica - come lo dice la Liturgia - voi potete
esclamare quello che anch'io ho annunciato con meraviglia: «Tutti
coloro che avevano mangiato si sentirono sazi». Lo esclamerete
tutti e lo annunciate a tutto il mondo, quello che il Signore ha
fatto per voi. Mangiate e vi saziate.
Poi la Liturgia vuol confermare le parole del
Vangelo con l'ultima preghiera, quando dice - non dice, ma prega,
dicendo: «Signore, Tu ci nutri in questo Convito Eucaristico. Ti
preghiamo di darci la grazia di ricercare sempre e solo quei beni
che ci danno la vera vita».
Ma, come io ripeto tutti gli anni, il latino qui è dolcissimo e
dice: «Caelestibus pasti deliciis». Non solo siamo
invitati al Convivio Eucaristico, ma ci sentiamo nutriti fino alla
sazietà di questo cibo celeste. E allora, un'altra esclamazione che
esce dalla bocca di Gesù: «Sic Deus dilexit mundum!». Così
Dio ha amato il mondo, da dare per esso il suo unico Figlio! Anche
questa è un'Antifona della Comunione. Ce ne sono due, a scelta. Le
ho ripetute tutte due. Tra queste, questa meraviglia espressa da
Gesù stesso: il Sic Deus. Così il Padre ha amato il mondo
da dare per esso il suo Figlio unigenito. E ne abbiamo bisogno!
Oggi appare - per così dire - nella Liturgia,
la lebbra. La lebbra... La lebbra, già nell'Antico Testamento, nel
Libro del Levitico. E la lebbra qui, nel racconto, nel mistero
evangelico. La lebbra. Cos'è la lebbra? E' un corpo, una vita in
sfacelo. Nell'ordine fisico è veramente un corpo, una vita intera
in sfacelo, ma nell'ordine fisico.
Come dobbiamo intendere qui, nella Liturgia,
la lebbra? E' un cuore e un'anima in sfacelo: il peccato che riduce
ad uno sfacelo la Grazia, che è la ricchezza dell'anima.
Però, anche ricoperti di lebbra, si può sempre sollevare lo
sguardo umile, con il cuore contrito. A chi? A un lebbroso che si
presenta davanti a noi, nella visione liturgica.
E questo lebbroso - ci tremano le labbra! - questo lebbroso è
Cristo Gesù, lebbroso perché ha voluto assumere tutte le nostre
infermità e portare e coprirsi di tutte le nostre iniquità.
Dice il profeta Isaia: «Reputavimus eum quasi leprosus».
Abbiamo veduto davanti a noi un lebbroso, il Messia, il Santissimo,
l'Innocentissimo, diventato lebbroso per noi. L'abisso della
misericordia che riempie l'abisso della miseria. L'abisso della sua
misericordia.
Avete sentito il gemito del versetto
dell'Alleluja: «Sono venuto a salvare i peccatori» e tutti
(l'Apostolo direbbe: "Io per primo" e lo dico anch'io volentieri
insieme a lui), tutti abbiamo bisogno della misericordia di Dio:
anche i Santi.
Chi sono i Santi? Ho una definizione che è
singolare e può suscitare un po' meraviglia: i Santi sono peccatori
coscienti. Dei peccatori coscienti. Sanno di essere dei peccatori
anche loro. I Santi sono dei peccatori coscienti. Leggete la vita
dei Santi ed è tutto un ripetere davanti al Signore: «Abbi pietà di
me! Abbi pietà di me!». O la preghiera di Pietro: «Allontanati da
me, perché sono un peccatore». O Giovanni, l'Evangelista della
carità, quando dice: «Se qualcuno dice di non avere peccato è un
bugiardo». Siamo tutti dei poveri peccatori.
C'è una Maternità aperta per accoglierci: la
Grazia divina, della quale è stato detto - della Grazia - che è una
Maternità amante. Ho faticato a capire il senso di queste parole,
che mi sembra molto profondo. Una Maternità amante. Questa
Maternità amantissima non è che la Maternità di Dio.
Permettete di dire così: la Maternità di Dio.
San Serafino di Sarov (un Santo russo del
secolo scorso, citato ancora) disse un giorno al Superiore del
Monastero di Sarov: «Sii una madre per i tuoi monaci». Ce n'era
abbastanza per fare il Superiore come doveva farlo. «Sii una madre
per i tuoi monaci!».
Quando un Ministro di Dio entra nel Sacramento della Confessione,
mi sembra che una voce dal cielo gli dica (e mi dica): «Sii padre,
sii una madre per tutti».
Se conoscessimo il dono di Dio!
Mi devi perdonare, o Signore, se ho preteso
di studiarti senza prima amarti. Per conoscerti devo amarti, non
devo perdermi in non so quali studi e in quali discussioni.
Perdonami, se ho preteso di studiarti, senza prima amarti, perché
dovevo essere convinto che, se pretendo di conoscerti, non ti
conoscerò mai. Non ti conoscerò mai!
Sarò capace, per grazia tua, di amarti quanto Tu mi ami, perché
non ho che da restituirti il tuo stesso amore.
Ma io ripeto, per concludere, quello che è il
gemito bellissimo della Liturgia, già detto in principio. Sentite.
Lo sentite già, lo sentirete alla Comunione Eucaristica: sarete
saziati e sarete nutriti fino alla pienezza dei vostri desideri,
così che potrete andare per il mondo e dare di questo cibo
soavissimo a tutte le creature affamate.
E allora l'esclamazione mia e vostra: «Sic Deus dilexit
mundum!». Così Dio ha amato il mondo! E chi dice queste parole
con stupore, con meraviglia è la stessa Sapienza Incarnata. Come se
si fosse trovato, Gesù, davanti a qualcosa di nuovo, sconosciuto,
inaudito, quale la rivelazione e il dono dell'Amore
misericordioso.