NOI ABBIAMO IL SENSO DI CRISTO.
Vi riferisco il testo del discorso,
pronunciato nel pomeriggio pasquale. La mancanza di spazio non mi
permette di riferirlo integralmente, e mi costringe ad omettere
anche il tratto della Lettera di S. Paolo (1 Cor. 2.2-16), dal
quale ho tolto l'argomento.
Nel commento alla Lettera, cercherò di
lasciare intatta, il più possibile, la parola di Dio, per avvertire
meglio in essa la presenza dello Spirito.
Insisterò sull'ultimo versetto: poche parole,
in cui è condensato il mistero cristiano, o il mistero pasquale che
ne è l'espressione più completa.
S. Paolo richiama continuamente la presenza
dello Spirito. Già nel 4° Versetto, commentato nella Pasqua dello
scorso anno, aveva affermato che la sua parola attingeva tutta la
sua forza dallo Spirito.
Quello ch'io vi dico (v. 10) me l'ha rivelato
Dio, mediante il Suo Spirito: quello Spirito che conosce a fondo i
secreti della Trinità.
Le cose di Dio nessuno le conosce, se non lo
Spirito di Dio (v. 11).
Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo
mondo, ma lo Spirito che è da Dio, affinché conosciamo le cose, che
a noi furono donate da Dio (v. 12).
E noi ne parliamo con la dottrina, con la
sapienza che viene dallo Spirito, e non con le ricercate parole
della sapienza umana (v. 13).
*
* *
Io ho fretta di correre all'ultimo
Versetto, quello che dovrà rimanere come ricordo ed insegnamento
migliore di questa solenne celebrazione pasquale.
NOI ABBIAMO IL SENSO DI CRISTO
Lo possiamo illustrare subito con la
contemplazione paolina del nono versetto?
«Occhio non vide, né orecchio udì, né mai
entrò in cuor d'uomo, che cosa ha Dio preparato per coloro che lo
Amano!».
Anche S. Agostino si sforza inutilmente di
dirlo: Ameremo lassù una certa luce, un certo profumo, un certo
cibo e un certo amplesso interiore. Vi risplende una luce, che non
può essere contenuta nello spazio; vi risuona una melodia, che non
si esaurirà nel tempo; vi olezza un profumo, che non verrà disperso
dal vento; si gusterà un sapore, che non sarà diminuito da nessuna
asprezza; vi regnerà un'unione ed intimità tale, da non poter mai
venire né esaurita né diminuita dalla sazietà.
Vita totius elegantiae et dignitatis
plenissima!
Una vita elegantissima e dignitosissima!
O Signore, fammi passare dagli ardori di
questa vita mortale e passeggera tra mille pericoli e continui
sudori, sotto il dolce refrigerio della Tua aura vitale. E mentre
passo, quasi dormendo, ch'io possa reclinare il mio capo stanco,
almeno per un po' di tempo, sopra il tuo Seno (S. Ag. Medit.).
*
* *
NOS AUTEM SENSUM CHRISTI HABEMUS.
Noi abbiamo il senso di Cristo.
Che cosa vuol dire: possedere il senso di
Cristo, se non avere quasi i sensi stessi di Cristo: i suoi occhi,
il suo udito, il suo odore, il suo gusto, il suo tatto? Soprattutto
la sua mente, il suo cuore e la sua anima?
Il Card. E. Suhard arciv. di Parigi,
nell'anno 1948 indirizzava ai suoi fedeli una Lettera Pastorale dal
titolo: Il senso di Dio. Alla domanda angosciosa se il mondo
possedesse ancora questo Senso, Egli rispondeva:
Se voi passate in rassegna tutte le
manifestazioni dell'assenza di Dio nel mondo, ne soffrireste fin
nella carne.
È come una lenta soffocazione, che tutti ci
minaccia, e dalla quale, con un impeto di sdegno, occorre al più
presto liberarsi.
È un veleno sottile, che si assorbe
continuamente attraverso tutti i sensi, tanto più pericoloso, in
quanto fa morire, e sembra che non condanni a morire le proprie
vittime.
Si vive come se Dio fosse al nostro
servizio!
Non noi obbligati a Lui; ma Lui a noi!
Si parla di Cristo lavoratore, di Cristo
nostro fratello, e non scorgendo di Lui che l'aspetto ed affetto
umano si smarrisce il senso del sacro e il senso del peccato.
Così, per una serie di smarrimenti e di
errori:
L'igiene si chiama purezza.
Lo sport si chiama sacrificio e dovrebbe
sostituire la mortificazione cristiana.
La filantropia si chiama carità.
La fiducia nell'indefinita possibilità di
progresso si chiama speranza.
La licenza si chiama libertà.
La tecnica si chiama felicità.
Il Sacerdote sarà all'altezza dei tempi se
organizza gare sportive; se difende diritti ad oltranza e fa
l'agitatore sindacale; se lavora in tuta in una fabbrica; se
costruisce ambienti ricreativi.
Come se la vera grandezza di una missione
sacerdotale non consistesse più nella celebrazione della Messa, nel
martirio del Confessionale, nel raccoglimento della preghiera e nel
nascondimento della contemplazione.
"Che conta, anzitutto, è l'azione, il
rendimento, una colonna di giornale, mentre il valore profondo del
silenzio e dell'insuccesso è raramente inteso.
Quelli che lavorano al compimento della
creazione corrono il pericolo di trovare tanta gioia nel sistemare
la città terrena, da dimenticare il modello, di cui deve essere
l'immagine e dove ci porta. Invece di lasciar tutto per la perla
inestimabile, tutto si cerca e si smarrisce la perla, si consuma il
tesoro, si spegne la luce: rimangono i doni umani, l'agiatezza, le
attenzioni, ma il cuore nel vuoto e nell'angoscia".
"Credenti, che non accettano Dio, ma Lo
scelgono: lo fabbricano e modificano da loro stessi.
Dio al nostro servizio, dunque? Sì, ma perché
ritorniamo a Lui, non perché ci sentiamo troppo sensibili nei
nostri diritti, ma perché a Lui ci avviciniamo nel compimento dei
nostri doveri e nella pratica della Sua legge".
*
* *
NOS AUTEM SENSUM CHRISTI HABEMUS.
Possediamo il senso di Cristo nella
famiglia?
Citiamo una semplice risposta del Catechismo:
il Matrimonio è il sacramento, che unisce l'uomo e la donna, come
sono uniti Cristo e la Chiesa.
È una risposta ed una visione stupenda!
Due sposi, due anime: uniti come Cristo e la
Chiesa!
Chi può descrivere questa santa unione dove
tutto è purezza e fecondità, delicatezza e speranza di vita?
Quale è stato il senso di Cristo
nell'istituire il Sacramento del matrimonio?
Nel matrimonio cristiano non rimane che il
corpo di Cristo e la presenza della Chiesa.
È un linguaggio mistico sublime!
Il Sacramento, che tra tutti sembra il meno
spirituale, quasi il più legato e sacrificato alla materia, tutti
li supera per la sublimità del suo simbolismo.
Vi trionfa l'amore divino di Gesù e la
castità verginale della Chiesa.
Nello sfolgorio di questa luce, si può
affermare non esservi sulla terra una condizione di vita più
elevata, più feconda e più felice di quella di colui, che per un
ideale altissimo di santità rinuncia alla formazione di una
famiglia, per vivere come Cristo e la Chiesa, come Cristo nella sua
Chiesa.
E come nessuno è più utile, oggi, al mondo di
queste Creature verginali, votate ad una missione angelica, così
non vi è stolto più lontano dal senso di Cristo di colui che,
incapace di percepire l'opera e di ammirare il capolavoro dello
Spirito di Dio, ne schernisce le membra più delicate e le mitiche
Spose.
Entrate, ora, nelle case e visitate le
famiglie del nostro tempo.
Ecco un'osservazione del Card. Suhard, citato
più sopra: Si fa di tutto, con la sollecitudine, che commuove, per
procurare ai figli ogni giorno tutto quanto occorre, anche tra le
famiglie più sprovvedute; ma si fa per i corpi soltanto: salute
fisica ed igiene sono ormai idoli, cui si sacrifica ogni altra
cosa.
Case vuote e focolari spenti: spavento dei
figli e terrore della sofferenza! Gli angeli della pace vi stanno a
piangere amaramente, in attesa che il giardino fiorisca e prendano
il volo, in quel nido, quelle candide colombe, che son destinate a
portare la grazia ed il sorriso in tutto il mondo.
NOS AUTEM SENSUM CHRISTI HABEMUS.
Possediamo noi il senso di Cristo nella
Domenica?
Che vuol dire, avere questo senso di Cristo
nella Domenica, se non sentire quello, che GESÙ ha sentito nel
giorno, in cui Egli è risorto e nel quale ha mandato il Suo Spirito
sopra la Chiesa?
Un giorno di Sole e di Fuoco!
Un giorno di luce e di amore!
Il giorno della Liturgia solenne, celebrata
al mattino con un sacrificio di Sangue e nell'ora vespertina con un
sacrificio di lode, nella letizia del canto e nel sollievo
dell'istruzione catechistica.
"Nos autem non spiritum hujus mundi
accepimus".
Poiché noi non abbiamo ricevuto lo spirito di
questo mondo.
Com'è la Domenica nello spirito del
mondo?
La scadenza settimanale d'una S. Messa,
ascoltata con una indifferenza desolante. Mezz'ora di tempo,
sacrificata stentatamente ad un obbligo, dal quale non ci si può
esimere senza una colpa grave. Poi tutto diventa lecito per un
bisogno insopprimibile di svago e di riposo. Come se dedicare tutta
la Domenica al Signore fosse una gravosa fatica, che creasse in noi
un clima di stanchezza e di solitudine.
Intendo riferirmi specialmente al pomeriggio
domenicale, devastato con particolare accanimento dallo spirito del
mondo, cercando di togliere ad esso quanto di sacro e di intimo, di
quieto e di sereno vi aveva impresso lo spirito cristiano.
"Chi - scrive ancora l'Arcivescovo di Parigi
- ascoltata la S. Messa, continua a sentirsi immerso nel Giorno del
Signore, nelle preghiere, nella celebrazione e nella pace?
Immerso nel Giorno del Signore!
Così, come un pesce che guizza sicuro nelle
profondità dei mari; come l'uccello, che cantando si libra felice
nell'azzurro del cielo.
Immerso nell'onda della preghiera e della
sacra melodia, mentre la Comunità si trova raccolta sotto le navate
di questo magnifico tempio e trascorre le sue ore più belle accanto
all'Ospite divino del Tabernacolo.
Immerso nel Giorno del Signore e non sepolto
tra le mura d'un ritrovo mondano, dove tante innocenti giovinezze
si sono scavate la tomba.
*
* *
NOS AUTEM SENSUM CHRISTI HABEMUS.
È sceso in noi questo Spirito, questo senso
di Cristo nella celebrazione della Liturgia pasquale?
Lo sentiamo fremere dolcemente nell'anima,
nel cuore, nelle membra del corpo?
Se rileggessimo ora le parole dell'Apostolo,
la Pasqua cristiana ne balza fuori in tutto il suo splendore.
Sapienza di Dio in mistero!
Chi di noi avrebbe peccato o tornerà a
peccare sapendo di crocifiggere il Signore della gloria?
Chi può descrivere quali cose Dio ha
preparato per coloro che Lo amano? Occhio non l'ha mai veduto,
orecchio non l'ha mai sentito né cuore umano l'ha mai provato!
Siete venuti alla Casa del Signore?
Come avete vissuto i giorni della
Passione?
Avete pianto accanto alla Croce di Gesù, nel
giorno della Sua morte?
Avete amorosamente vegliato questa Notte
presso il Suo Sepolcro, nell'attesa e nella certezza di risorgere
con Lui?
Avete cantato il tenerissimo "Ubi
caritas"?
Il mestissimo "Popule meus"?
Il trionfale "Alleluia"?
Risorti con Cristo, cercate e gustate le cose
di lassù.
[…]
Don Luigi Bosio,
La mia Pasqua. Nos autem sensum Christi habemus,
«Cittadella Cristiana», Aprile 1956, Anno VII, N. 71.