Biografia

BEATA TRINITAS
Dominus meus et Deus Meus

Verona, 10 aprile 1993. Magnum Sabbatum, magni silentii.

MEDIUM SILENTIUM
O VERE BEATA NOX


Il mio TESTAMENTO:
non cercatelo, non cercatelo inutilmente.
In simplicitate cordis mei, jam obtuli universa.
Ho già lasciato tutto: Spectaculum facti Angelis et hominibus.
Fino ad oggi non ho mai scritto né fatto parola di Testamento.
La lettera mi uccide, il Codice mi soffoca,

gli schemi mi tolgono le forze,
il cuore si copre di sudore,
l’anima incomincia a trasudare sangue,
tunc VERBUM fit caro, et caro VERBUM.

O magnum pietatis Sacramentum, o magna Pietas Matris meae!

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La mia nascita: il Sabato Santo 10 Aprile 1909

in magno Silentio magni Sabbati.

Un’infanzia un po’ sofferta.

VIVACE, SENSIBILISSIMO, LIBERO.

Una giovinezza tra famiglia e Seminario.
Un bel Cielo sereno, lacerato da una folgore

violenta, come quella dell’Apostolo.

Il mio Sacerdozio: In confessione pulchritudinis

ALTARIA TUA DOMINE.

Nell’estasi del Confessionale: In multitudine dulcedinis absconditae.
Nello splendore della Liturgia: nell’unione soavissima

                                          dell’angelica melodia gregoriana.

Non aggiungere nulla, nulla.
Non ferite la pace del mio silenzio.

 

                              +


Sono felicissimo d’essere rimasto sempre semplice
come un bambino, SERIO e sorridente,
tra le braccia della Madre mia beatissima

                                MARIA


                                                                   Sac. Luigi Bosio

 

 

*     *     *



ET VERBUM CARO FACTUM EST
ET HABITAVIT IN NOBIS
(Gv 1,14a)

Il sacramento.
Il mistero taciuto nei secoli.
Il sacramento della divina pietà.
Vieni!
Ma… non sei venuto?
Tu sei un continuo venire, sei l’eternità in atto.
Vieni!


La mia nascita: il Sabato Santo 10 aprile 1909 in magno Silentio magni Sabbati“: don Luigi nasce e vive incarnando il grande Silenzio del grande Sabato:

Dio è silenzio. In questa Luce, la Parola è figlia del silenzio del Padre, e lo Spirito Santo è il bacio silenzioso della loro silenziosa comunione. Il Padre non ha detto che una Parola, il suo Figlio; Egli la dice sempre nel silenzio, un silenzio senza fine.

Luigi Bosio nasce ad Avesa, una borgata della periferia di Verona, da una modesta famiglia. Descrive la propria infanzia come “un po’ sofferta“, facendo seguire quel “VIVACE, SENSIBILISSIMO, LIBERO“, quasi a motivare la sofferenza vissuta.

Già in tenera età manifesta interesse per lo studio. Frequenta con volontà e impegno la scuola, dimostrando serietà e intelligenza. Ma sono soprattutto le letture proposte dal maestro, don Lino Chiaffoni, che attraggono la sua attenzione, risvegliando nel suo essere una forte attrazione per la vita monastica benedettina. Don Lino però ritiene opportuno orientarlo verso il Seminario diocesano, dove vi fa ingresso all’età di dieci anni. Da questo momento la sua giovinezza si snoda “tra famiglia e Seminario“.

Don Luigi dimostra essere un alunno serio e rigoroso. Mantiene inalterata la forte attrazione per l’ordine di san Benedetto tantoché, quando può, si reca in bicicletta all’Abbazia Benedettina di Praglia (Padova) per partecipare agli esercizi spirituali, rientrando poi a Verona in giornata.

Mentre frequenta il secondo anno di teologia, accade un episodio dal quale scaturisce una prova che egli paragona ad “una folgore violenta, come quella dell’Apostolo“.

Riferisce mons. Falzoni, Vice Prefetto alla camerata sant’Antonio che accoglie il giovane Bosio: “Mi giunse all’orecchio una sua… – diciamola – scappatella. Nel mese estivo, quando tanti tornavano in famiglia, lui con un compagno decise di fare una gita in bicicletta. Il caldo era molto ed entrambi lasciarono a casa la veste. Allora c’era una grande severità. La cosa fu nota. I due furono richiamati duramente: l’uno espulso dal Seminario e Bosio mandato dai Padri Benedettini per un determinato periodo. Quando ne uscì per rientrare in Seminario era letteralmente cambiato. Questo fu confermato anche da altri: divenne raccolto, serissimo, spesso silenzioso, molto dedito alla preghiera”.

Il 1° novembre 1931, solennità di Tutti i Santi, viene ordinato sacerdote:

L’altare è il mio cuore, il mio Calvario e la mia croce su cui offrire me stesso. È la pietra d’angolo che sostiene il mondo. Voi siete frammenti di questo altare; siete tutto l’altare; siete Cristo.

Nominato vicario parrocchiale a Legnago, esercita il suo ministero soprattutto con i ragazzi e i giovani dell’oratorio. Essi trovano in lui un autentico padre spirituale, particolarmente nella confessione:

È il sacramento dell’amore. Sì i peccati, sì, ma soprattutto è il sacramento dell’Amore! È questo che conta.

Nel 1936 è nominato rettore della Rettoria di Presina, frazione di Albaredo d’Adige. Vi diviene il primo parroco tre anni dopo, quando la Rettoria è elevata a Parrocchia. Per don Luigi sono anni di intensa preghiera e penitenza:

Sentivo il bisogno – scrive – di restare ore e ore con Lui, soprattutto durante la notte… perché nella notte Gesù è solo e volevo fargli compagnia.

Narra un testimone di quegli anni: “Don Luigi era sempre in visita agli ammalati e ai vecchi, e ogni mattina alle quattro partiva col Santissimo per una o l’altra contrada, in bicicletta, a portare il Signore a chi non poteva venire in chiesa. Tornava in tempo per celebrare la Santa Messa, alle cinque e mezza, perché il lavoro nei campi incominciava all’alba”.

Il 9 giugno 1940, all’età di 31 anni, don Luigi fa il suo ingresso come Parroco a Belfiore d’Adige, che egli teneramente chiama “la sua Gerusalemme“:

Signore, prendimi completamente! Tu mi hai donato questa Tua parrocchia, mi affidi tutte le anime di questa comunità. Non permettere che nessuna pecorella vada perduta e si smarrisca lontano da Te. Ti offro tutto me stesso in riscatto per loro.

Vive intensamente la dimensione della parrocchia, come egli stesso comunica con queste parole:

La parrocchia è un frammento del Corpo Mistico di Gesù Cristo. È una cellula viva e vivificante di questo Corpo misterioso. È il “corpo spirituale” di Gesù. È Gesù vivente in tutti i suoi misteri. Nella parrocchia, immediata e radicale attuazione del suo Corpo Mistico, in questa “pienezza”, Egli continua ad offrirsi, specialmente nella Messa, al Padre Celeste, unendo a Sé, in un atto di obbedienza e di amore, tutti i fedeli.

Sempre generoso e sereno, accetta di svolgere questo incarico rinunciando alla sua vocazione benedettina, forse anche per obbedienza a san Giovanni Calabria, suo Padre spirituale, il quale in seguito gli scrive:

“Mio carissimo don Luigi,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Quod Deus coniunxit, homo non separet. Come ti ricordo e come prego perché il Divino Pastore, sempre più ti faccia ricco dei suoi doni, per te e per tutte le tue anime.

Le anime che grande parola, quanto costano le anime e le opere di Dio.

E tu mi ricordi? Stiamo sempre uniti in terra e poi in Cielo. Benedico tutto Belfiore, che sia proprio il fiore bello di Gesù.

Caro don Luigi, l’ora è di Dio, ci continua la sua chiamata, guai se non lo si ascolta.

In C. J. Sac. J. Calabria”  (Verona, 23 maggio 1945).

E nell’ascolto don Luigi percepisce da subito la chiamata alla costruzione di una nuova chiesa, lungo tempo di formazione della comunità cristiana.

Uomo di parola che non viene mai meno ai propri impegni, pone il servizio al Signore sempre al primo posto, eseguendolo con fedeltà e zelo. Nelle preoccupazioni e nella mancanza di mezzi economici dovuta soprattutto al recente ingresso in guerra dell’Italia, don Luigi si affida completamente alla Provvidenza:

Io vedo a distanza di mesi e anche di anni, ma lascio fare alla Provvidenza.

La chiesa, che don Luigi ama chiamare “la Gerusalemme del cielo“, viene dedicata alla Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, mistero di cui egli è particolarmente devoto. Ne cura ogni particolare: la struttura, la disposizione dei percorsi interni, gli arredi, le vetrate, i bassorilievi, le statue.
   Anche a Belfiore don Luigi dedica ogni giorno molte ore alla confessione e all’adorazione eucaristica:

Quello che salva le anime sono le nostre ginocchia davanti al Santissimo.

Le sue omelie e catechesi sono sempre riferite ai contenuti della liturgia eucaristica ed ai santi sacramenti. Pone la massima attenzione nella celebrazione di ogni Sacramento e nella cura della chiesa e della Liturgia:

La Liturgia è una coppa d’oro, traboccante di grazia e di santità. È l’azione, la vita stessa del Capo divino nelle membra, che sono a Lui unite nel mistico Corpo della Chiesa.

Insegna a cantare e a vivere il canto gregoriano:

Il canto gregoriano è la respirazione dello Spirito; quando è cantato bene, è lo Spirito Santo che respira e canta in noi. È un canto che è nato nella contemplazione. È il canto d’amore che il Padre canta, canto d’amore che è Dio stesso. Bisogna essere degni di cantarlo, di sentirlo e viverlo. È sempre fresco, semplice, lievissimo, purissimo. È come il palpito del primo amore che non invecchia mai, né può invecchiare. È il canto fermo, “cantus firmus”, perciò libero. Non c’è un altro canto che sia così libero nella sua melodia: libertà sacra, perfetta, esigentissima.

Vive intensamente la Carità che definisce “principio e fine di ogni cosa“, rimanendo sempre, come egli scrive, “tra le braccia della Madre mia beatissima MARIA“:

Ave, o piena di grazia. Che bel Nome, che bellissimo Cognome Ti ha dato l’Angelo, o Maria! Non so precisamente quale sia il Nome e quale il Cognome, perché si fondono insieme: vedo che è tutto un traboccare di santità e di bellezza. Perciò non oso domandarTi nulla: mi basta stare vicino alla Fonte, e sciogliermi in filiale venerazione. Ne sei degnissima!
So che da Te ho ricevuto tutto. Per essere esatto nella dottrina della mia Fede, dico e confermo che da Te ho ricevuto tutto, perché da Te ho ricevuto Colui che è tutto. E perché è volontà del Padre che nulla noi possiamo avere senza di Te.
Ave, o piena di grazia! Perché sei umilissima. Umilissima!
Non hai avuto trionfi, né miracoli. La gloria umana non ti ha nemmeno sfiorata con la cima più sottile della sua ala selvaggia. Che stupefacente solitudine!
Sei senza peccato, senza macchia di peccato, senz’ombra di peccato. Una sorgente così pura, così limpida, così limpida e pura, da non vedervi nemmeno riflessa la tua immagine, fatta solo per la gloria del Padre.
O sacra solitudine!
O guglia sublime, dove le virtù, uscite dai combattimenti della terra, si incontrano con le misericordie del Cielo.
Se Gesù ha portato il peso dei nostri peccati, Tu hai portato il peso dei nostri dolori.

Don Luigi ritiene l’umiltà la base di tutte le virtù e ne è testimone vivente:

L’umiltà è la più alta esperienza: sono nulla, non ho nulla, ma “sono tranquillo e sereno come un bimbo”! Quando i giusti vengono umiliati, non credere che siano tristi! Saresti in grande errore. Non sai quello che nascondono dentro di sé. Ogni beatitudine comincia dall’umiltà, ogni inquietudine dalla superbia. L’umiltà è fortissima, la superbia è fragilissima.

Il suo essere è un traboccare d’amore per il Signore e per il prossimo:

Amare significa: accettare con infinita pazienza, tacere con infinita fiducia, sorridere con infinito coraggio, gustare amarezze con infinito silenzio, impegnarsi nel proprio dovere con infinita nostalgia, amare il prossimo con infinita tenerezza, attendere con infinita letizia, donarsi con infinita speranza, pregare con infinita confidenza, gioire con infinito affanno; l’affanno del cuore macerato dal bisogno di amare infinitamente Dio e l’umanità.

Spesso don Luigi viene messo di fronte a sofferte scelte pastorali. Ne è un esempio l’applicazione del decreto di condanna al comunismo (1949) dell’allora Sacra congregazione del Sant’Uffizio durante il pontificato di Pio XII, accettata in umiltà e obbedienza:

La vita cristiana è preparazione al martirio. Il martirio appartiene alla Chiesa come sua nota essenziale. A tutta la Chiesa, anche se essa lo soffre in alcuni suoi membri; e i suoi fedeli, se non lo soffrono tutti nella loro carne, lo devono vivere tutti nel loro spirito.
La Redenzione continua nel martirio. La vocazione cristiana è vocazione al martirio. Diceva Origine: Se un domani non vi fossero più martiri, io temo che non ci sarebbero rimessi i nostri peccati.

Anche il suo essere uomo contemplativo, non da tutti è compreso. Dice di sé:

È forse poco che io dedichi il mio tempo migliore alla preghiera per voi? Che io mi consumi per il decoro della Casa del Signore e per lo splendore della Sacra Liturgia?

Nell’autunno del 1969 gli viene chiesto di rinunciare alla parrocchia per essere nominato Canonico della Cattedrale di Verona. Nell’abbandono alla Volontà Divina, si sottomette immediatamente alla volontà del Vescovo.

Sgravato dagli impegni della parrocchia, vive il suo sacerdozio sempre più “nell’estasi del Confessionale” e nella direzione spirituale dei numerosi figli con la fermezza e la severità di un padre e l’amorevole tenerezza e comprensione di una madre.

Nella celebrazione della Santa Messa vive la presenza sacramentale di Cristo:

Io sono felicissimo quando è il momento della consacrazione, dopo aver mostrato il Mistero della Vittima Divina a tutta la terra e a tutto il cielo, mi inginocchio e sprofondo nel mio nulla. Sento tutta la grandezza di Dio e lo adoro in un abisso di felice annientamento, per lasciare che l’abisso della mia miseria, della mia debolezza e del mio nulla sia riempito dall’abisso della sua misericordia.

Sopporta con pazienza e serenità la dolorosa e lunga malattia che si protrae per circa dieci anni, vivendo il dolore come grazia espiatoria. Nell’ultimo anno di vita, don Luigi è immerso nel silenzio. Prima di recarsi all’ospedale confida: “Com’è crocifiggente non riuscire più a far niente, ma com’è beatificante lasciare fare tutto a Lui“.

Il mattino del 27 gennaio 1994 sussurra: “Vado a prepararvi un posto”. Muore la sera dello stesso giorno, nel completo abbandono al Signore:

La morte è il “dies natalis”, il giorno natalizio: per chi muore nel Signore, è il natale della vita eterna

e il proseguimento della celebrazione della Liturgia che in tutto lo ha guidato nella vita:

La Liturgia, cioè la Chiesa, si muove nell’eterno presente. E noi con lei.


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Unico ed inconfondibile nell’ineffabile tenerezza del suo Amore, “serio e sorridente”, don Luigi rimane con noi “nell’eterno presente”, come ci aveva promesso durante la sua vita terrena:

Chiamatemi e io sarò lì con voi. Sarò sempre con voi!


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Emilio Romeri, Silvano Quattrin – Il dono di don Luigi Bosio – Edizioni Parva – 2008

Don Gaetano Pozzato – Ho veduto la Gerusalemme del cielo 

Omelia di mons. Alberto Piazzi al funerale di don Luigi Bosio – 31 gennaio 1994 

 

 

Le spoglie mortali di don Luigi Bosio, inizialmente tumulate nel Cimitero di Verona, sono state traslate nel mese di Marzo 2013 all’interno della “Cripta del Memoriale dei Vescovi Veronesi” nella Cattedrale di Verona.