Feria V in “Cena Domini”

Feria V in “Cena Domini”

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Con un volo rapidissimo, fatti leggeri dalla preghiera e dalla penitenza quaresimale, sulle ali dell’Aquila divina, allontanandoci da tutti e separati da tutto, andiamo a posare il piede sulla Pietra.

Questa Pietra è l’Altare.

Pietra viva nel suo simbolismo.

Viva nella Vita, custodita gelosamente nel Tabernacolo Eucaristico.

La Divina Eucarestia!

Quale gaudio parlarne, sia pure con tanto affanno, in questa soavissima “Cena del Signore!”

Potissimum inter alia Sacramenta: et hoc simpliciter loquendo” (D. Th.). Il massimo tra tutti i sacramenti. In modo assoluto.

Senza perderci in tanti discorsi.

Senza poter stabilire un confronto con gli altri Sacramenti. Anche se di tutti gli altri Sacramenti è la fonte e la perfezione. “Perfectum omnium Sacramentorum“.

Le ragioni sono evidenti.

Nella purezza della fede, la logica diventa teologia.

L’ardore Eucaristico placa e spegne ogni discussione.

Mio Dio, credo!

Nell’Eucarestia è contenuto in modo sostanziale lo stesso Cristo“. “Substantialiter?” – un termine caro all’Angelico Dottore.

L’Eucarestia non è un Sacramento, ma l’Autore dei Sacramenti.

Non contiene e non dona grazia, ma l’Autore stesso della Grazia. Il “magnum Sacramentum” in cui si apre, in tutta la sua immensità, l’orizzonte liturgico.

L’orizzonte sacramentale, in cui si raccoglie ed opera la Liturgia.

La Liturgia è tutta Eucarestia.

L’Eucarestia è la somma Liturgia.

La somma di tutta la Liturgia:

nell’Eucarestia è tutta la Liturgia.

 

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Ogni Sacramento è strumento efficace di grazia: strumento che riceve la sua efficacia dall’Autore della grazia.

Nell’Eucarestia, Gesù non opera per mezzo di strumenti, per quanto efficaci, ma “di persona”.

Per essentiam, non per participationem“.

Non si riceve, nell’Eucarestia, una “parte” di grazia, con la grazia propria di ciascun Sacramento, ma l’Autore della grazia.

Ogni Sacramento è ordinato all’Eucarestia, come al suo fine.

Ogni Sacramento si consuma nell’Eucarestia: ha, cioè, la sua cornice naturale liturgica nella S. Messa.

La conclusione solenne: «Bonum commune spirituale totius Ecclesiae continetur substantialiter in ipso Eucharistiae Sacramento» – «Tutto il bene spirituale (e perché non anche quello materiale?) è contenuto sostanzialmente nel Sacramento dell’Eucarestia».

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Vi devo parlare anche del Sacerdozio.

Dell’ordine Sacerdotale e del vostro mistico sacerdozio: quanto lo consente una “brevis homilia“.

State ricevendo “in comunione” la parola di Dio: il pane della parola. Questa parola la riceverete, incarnata, nella Comunione Eucaristica.

La parola, che prepara la dimora del Verbo.

Questa è Liturgia.

Questo è Liturgia.

Questo è sacerdozio.

Esercizio sacerdotale.

Dalla parola al Verbo.

Dalla fame alla sazietà.

«Si panis noster est verbum Dei, sedemus in audiendo, ne moriamur in jejunando»  (Aug. in Ps. 32).

Con un cortese ritocco: Si panis noster est divina Eucharistia, sudemus in manducando, ne moriamur in jejunando.

 

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Il Sacerdozio, ogni sacerdozio, non può venire che dall’unica Fonte: Gesù eterno Sacerdote.

Oggi è la testimonianza di Giovanni e di Paolo, cui fa dolcissima eco S. Agostino.

Andiamo al Salmo 56.

Ha una parola di introduzione, che è d’uso dello Spirito Santo. «In finem»:

Si trova davanti a cinquantacinque Salmi.

Può avere un significato letterale, che lasciamo da parte.

Ci riferiamo a quello mistico, come lo intende S. Agostino.

«In finem»?

Finis omnis legis Christus.

Fine dei tempi, termine e perfezione di tutte le cose: Cristo.

«Finis non qui consumat, sed qui consummet».

Ogni cosa con l’uso si consuma.

Ma “consummare” è toccare il vertice della perfezione: così, com’è perfetta una veste, quando è portata al termine della lavorazione.

«In finem»?

Fine di ogni nostro desiderio: Gesù.

Perfezione somma, sommo premio. Gesù.

Il “consummatum est” è arrivare a Lui.

È Lui!

Se, arrivando a Lui, non cerchi più nulla: Egli è il tuo fine.

Sei nel tuo fine.

È Lui, la vita: il termine della vita.

Via, che al termine è Vita.

«Jam manebis».

Così Agostino ha dato ragione a Paolo; ambedue al Profeta, Re e cantore.

Ci rimane da ascoltare il “Secretarium Verbi“.

Sapete bene com’egli definisce l’Eucarestia: la consumazione dell’Amore di Gesù.

«In finem dilexit».

Ricordate quando abbiamo sostituito, nella I Lettera di S. Paolo ai Corinti, la parola “carità” con la parola “Eucarestia”?

«Se parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, e non amassi l’Eucarestia…!»

 

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Questa Liturgia solennissima nella Cena del Signore è la grande rivelazione, la grande festa dell’Amore, come anche, quasi la definizione, l’indicazione dogmatica della fonte, dalla quale scaturisce ogni fecondità nell’apostolato e il merito soprannaturale della carità.

Ci uniamo, invisibilmente, a quell’«Azione immobile», di cui vi ho parlato nella liturgia dell’Immacolata. Al duplice annientamento di Gesù: nell’Eucarestia e nella Sua morte di Croce. Nessuna vera azione senza annientamento.

Senza questa “immobilità” (eterna), ogni azione si dissolve nel nulla. Onore, dunque, alla vita interiore, e gloria alla sofferenza santificata.

«La contemplazione silenziosa è funzione indispensabile e azione sovrana nella vita della Chiesa e del mondo.

Sono le vette nevose, che, sciogliendosi in amore, fanno scendere nella città di Dio il fiume delle celesti delizie.

Sono altrettante “energie passive”, e sono le energie per eccellenza. Sotto la apparenza ed umile morale, la legge della purezza e della carità cristiana cela un’azione tutta fuoco, grazie alla quale l’originaria pluralità dell’essere viene ricomposta e saldata fino alla consumazione della sua unità».

 

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Dio non gode della sofferenza dei suoi figli, ma non può privarli di partecipare alla misteriosa gestazione in essi della Sua vita, che li identifica più strettamente al suo Unigenito.

Questo dolore, questa maternità dell’anima, è fine a se stesso, ma per lo spazio, che apre alla vita.

 

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Al pari dei contemplativi e degli oranti, i malati e i sofferenti hanno una funzione particolare da adempiere, per la quale sono insostituibili. Trovandosi come cacciati fuori da se stessi, spinti ad emigrare fuori dalle forme presenti della vita, per questo stesso fatto sono eletti per l’opera, che consiste nell’elevare il mondo al di sopra del godimento immediato, verso una luce più alta. A loro spetta far respirare i fratelli, che come minatori, lavorano nelle profondità della materia. Portando nel corpo indebolito il peso del mondo in movimento, essi si trovano ad essere, per una bella rivincita della Provvidenza, i fattori più attivi di quello stesso progresso, che sembra sacrificarli e stritolarli.

 

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L’energia suprema è quella della Croce di Gesù, simbolo e centro di un’azione, la cui intensità è inesprimibile. Gesù crocifisso, che porta i peccati del mondo, è anche in pari tempo, e ancor più, Colui che porta il peso e trae sempre più in alto verso Dio i progressi dell’universale cammino.

Sintesi assoluta di tutte le passività, questa Croce è il luogo dell’attività suprema.

 

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Metodi nuovi, dunque?

Stat Crux – Stat Crucifixus in Cruce.

Devozioni Nuove?

Stat Eucharistia – Stat Christus, vivens in Eucharistia:

Regales viae     ad consummationem amoris

                          ad consummationem fructuum apostolatus

                          ad consummationem gaudiorum.  

Tutissimae viae ad aeternitatem.

 

Don Luigi Bosio, Feria V in “Cena Domini”. 23 Marzo1967, «Jerusalem Nova», Agosto – Settembre – Ottobre 1967, Anno XVIII, N. 21 (182)